La Cina alla prova dell’economia pulita: previsioni e sfide al 2050
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Parlare di transizione energetica in Cina è un compito arduo: è vero, il Paese del Dragone è quello che investe di più al mondo in tecnologie pulite, ma è anche il principale emettitore di gas-serra, il principale consumatore di carbone ed importatore netto di petrolio. E la lista “sporca” potrebbe continuare.
Qualche giorno fa, Cina e Stati Uniti hanno annunciato formalmente che ratificheranno gli accordi di Parigi sulla riduzione dell’inquinamento globale.
Al di là del “marketing politico” con le dichiarazioni d’intenti dei due colossi più energivori del Pianeta, siamo davvero vicini a un punto di svolta nell’agenda climatica internazionale?
Un nuovo contributo alla riflessione arriva dal Rocky Mountain Institute americano nel rapporto "Reinventing Fire: China". Il documento illustra il cammino che dovrebbe seguire la Cina per rivoluzionare il modo di produrre e utilizzare l’energia.
L’obiettivo è conciliare gli obiettivi economici e sociali, come la crescita del Pil e l’aumento della popolazione urbana a scapito delle zone rurali, con gli obiettivi ambientali, tra cui soprattutto la riduzione delle emissioni di CO2. Il rapporto dell’istituto americano è conservativo, nel senso che include solamente le tecnologie esistenti, che hanno già superato lo scoglio della commerciabilità su vasta scala.
Il metodo seguito dai ricercatori statunitensi prevede quattro passi: ridurre la domanda energetica, coprire la domanda rimanente nel modo più efficiente possibile, elettrificare la produzione di energia e spostare il baricentro del mix delle fonti dai carburanti fossili alle soluzioni pulite.
Nello scenario Reinventing Fire i consumi di energia primaria in Cina raggiungeranno un picco intorno al 2034, per poi scendere costantemente, grazie alle misure di efficienza in tutti i settori (edifici, trasporti, industria).
Nel 2050, secondo le simulazioni elaborate dagli analisti americani, il peso totale dei diversi combustibili fossili in Cina sarà pari al 66% circa, contro l’82% nello scenario business as usual. Ciò significa che le tecnologie pulite copriranno il 34% della domanda energetica complessiva tra poco più di trent’anni: un balzo considerevole rispetto a quanto avveniva nel 2010 (4% appena).
L’apporto delle rinnovabili sarà elevatissimo nella produzione di elettricità. Difatti, il 68% dei consumi elettrici cinesi nel 2050 sarà garantito da solare fotovoltaico, eolico, idroelettrico e altre tecnologie minori; questa fetta “carbon-free” sarà ancora più consistente (82% circa) includendo gli impianti nucleari, mentre l’utilizzo di carbone crollerà dopo il 2030.
Nello scenario Reinventing Fire, osserva poi l’istituto americano, la crescita delle emissioni di CO2 sarà molto più contenuta rispetto allo scenario BAU e, inoltre, il picco delle emissioni avverrà con 11 anni d’anticipo, quindi nel 2025, con circa 9,5 miliardi di tonnellate anziché nel 2036 con 14,6 miliardi di tonnellate.
Secondo l’analisi del Rocky Mountain Institute, infine, questa transizione energetica più che trentennale della Cina porterà una serie di benefici economici.
Lo scenario richiederà però investimenti aggiuntivi, in confronto alla situazione business as usual, di circa 5.200 miliardi di dollari entro il 2050. Questa spesa permetterà di ottenere un risparmio energetico netto, sempre nel paragone con il quadro BAU, di circa 3.100 miliardi di dollari.
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