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La transizione energetica verso le rinnovabili e il problema del seminatore

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Si sta facendo sempre più evidente che siamo in una vera e propria emergenza climatica e che è assolutamente necessario non solo ridurre i consumi di fossili, ma eliminarli quanto prima possibile dal mix delle tecnologie per la produzione energetica.

 

Si tratta, in sostanza, di accelerare i tempi della transizione energetica verso le fonti rinnovabili se vogliamo evitare un collasso climatico.

 

I costi monetari della transizione sono stati variamente stimati, con Jacobson che, per esempio, li quantifica a circa 8.000 miliardi di dollari per i soli Stati Uniti. Ma il problema non è soltanto monetario. Immaginatevi di essere in mezzo al deserto e assetati; nemmeno un milione di dollari potrà comprare una borraccia piena d'acqua se non ce n'è a disposizione.

 

Il problema si pone anche per la transizione energetica: per costruire la nuova infrastruttura non basta stampare soldi. Ci vogliono risorse materiali.

 

In primo luogo energia per creare tutte le strutture tecnologiche e produttive necessarie. Il problema che si pone è se siamo in grado di materializzare queste risorse in tempi sufficientemente rapidi per evitare il disastro climatico.

 

Qui ci troviamo di fronte al problema chiamato “cannibalismo energetico”. Questo concetto è correlato all'“energia netta” prodotta dagli impianti, ovvero l'energia prodotta che è disponibile per usi che non siano la costruzione e la manutenzione dell'impianto.

 

Per le tecnologie rinnovabili odierne, questa energia è positiva: ovvero gli impianti – per esempio fotovoltaici – producono molta più energia di quanta non ne richiedano (circa un fattore 10). Questo però non vuol dire che non occorra un investimento in energia per produrre nuovi impianti.

 

Se questa energia viene prodotta dagli impianti esistenti, c'è un limite fisico alla crescita: la velocità massima alla quale il sistema può crescere “cannibalizzando” tutta l'energia prodotta per costruire nuovi impianti.

 

Nessuno costruisce impianti di produzione energetica al solo scopo di costruirne di nuovi, per cui esiste un limite sia fisico che economico alla rapidità della crescita dell'infrastruttura rinnovabile.

 

È facile rendersi conto che, al momento attuale, la velocità di crescita ottenibile dalla sola infrastruttura rinnovabile esistente è ancora troppo bassa per quello che serve. In pratica, nelle fasi iniziali della crescita della nuova infrastruttura, occorrerà ancora utilizzare i fossili per dare un sufficiente impulso al sistema rinnovabile, che poi potrà continuare a crescere da solo mentre i fossili saranno messi da parte.

 

A questo punto, si possono calcolare i parametri del problema: sulla base delle rese energetiche delle varie tecnologie, di quanta energia fossile abbiamo bisogno per dare questo impulso? Possono i fossili riuscire ad eliminare se stessi senza rovinare il clima terrestre?

 

È questa la domanda che Sgouris Sgouridis, Denes Csala e Ugo Bardi si sono posti in un recente articolo, inquadrandolo nei termini del “problema del seminatore”. Ovvero, per gli agricoltori di una volta, era necessario conservare una parte del vecchio raccolto per poterne seminare uno nuovo.

 

Per la nostra civiltà, è necessario conservare una parte dell'energia prodotta dai fossili (il vecchio raccolto) per produrre un nuovo raccolto in forma di energia rinnovabili.

 

I calcoli degli autori indicano che è possibile. Siamo in grado di usare i fossili per dare alle rinnovabili una spinta che è forte a sufficienza per lanciarle da sole sulla strada dell'energia pulita.

 

Allo stesso tempo, questa spinta non ha bisogno di essere così forte da generare un disastro climatico, ovvero di andare oltre i 2 gradi di riscaldamento previsti dalla COP21 di Parigi.

 

Dopo questa spinta, i fossili potranno sparire dal mix energetico. Ce ne ricorderemo come oggi ci ricordiamo delle tecnologie del passato, come le macchine a vapore e i viaggi in pallone aereostatico.

 

C'è però un problema: il passaggio deve essere fatto in fretta. I calcoli indicano chiaramente che se non cominciamo subito a investire energia nella transizione, arriviamo a un punto di non ritorno a partire dal quale la transizione sarà impossibile senza andare oltre i limiti climatici e senza trovarsi di fronte all'esaurimento dei fossili.

 

Quindi, dobbiamo cominciare a lavorare il prima possibile nella priorità critica per la sopravvivenza della nostra civiltà: investire nelle energie rinnovabili. 

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