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La lenta agonia del carbone tra consumi piatti e rinnovabili in ascesa

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Domanda stagnante, concorrenza sempre più agguerrita delle tecnologie rinnovabili, disinvestimenti dal settore fossile di banche e gestori di fondi, restrizioni ambientali, aumento del costo della CO2, rischio di stranded asset (infrastrutture non più remunerative): per il carbone, le prospettive sono di un costante declino, ma sulla rapidità di questa discesa restano varie incognite, in primis quale partita giocherà l’India.

 

Vediamo allora come si è chiuso il 2017 per il combustibile più inquinante del mix energetico planetario, e cosa potrebbe accadere dai prossimi mesi in avanti.

 

La domanda globale di carbone, secondo l’ultimo rapporto della IEA è diminuita del 4,2% nel 2016 in confronto al 2014, segnando così il declino biennale più consistente dopo quello registrato nel 90’-92’ dall’agenzia internazionale dell’energia.

 

Le dinamiche però sono molto diverse nei singoli paesi.

 

Nel 2016, osserva la IEA, il consumo di questa fonte fossile è calato in Cina (per il terzo anno consecutivo), negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, però è aumentato in India e in altre regioni dell’Asia sudorientale.

 

Quindi la previsione al 2022 è di una domanda in stagnazione, con una lieve crescita, raggiungendo 5.530 milioni di tonnellate di carbone equivalente (Mtce) tra cinque anni.

 

Il peso del carbone nel mix energetico mondiale, sostiene la IEA, perderà un solo punto percentuale da qui al 2022 (dal 27% al 26%), mentre la sua quota nel settore elettrico scenderà appena sotto il 36%, il livello più basso mai riscontrato dalle statistiche.

 

Ci saranno tendenze contrastanti, perché l’utilizzo del combustibile “sporco”, evidenzia l’agenzia, continuerà a ridursi in Europa, negli Usa e in Cina, mentre in India, nonostante gli obiettivi molto ambiziosi per le rinnovabili, la generazione elettrica a carbone crescerà del 4% l’anno.

 

Le stime della IEA si riveleranno corrette?

 

Su questo punto rimane qualche dubbio, considerando che negli anni passati l’agenzia ha sempre sovrastimato il ruolo futuro del carbone, dovendo poi correggere i suoi dati nei rapporti successivi.

 

La IEA, osserva però Carbon Brief, nel 2017 ha tagliato di molto le previsioni sulla crescita del consumo indiano di carbone nelle centrali termoelettriche nel periodo 2014-2022: +115 Mtce contro +215 Mtce nel rapporto diffuso nel 2016.

 

Il quadro, in definitiva, resta molto incerto, non solo in Asia, ma anche in Europa, soprattutto in Germania, alle prese con una complessa transizione energetica tra boom delle rinnovabili, uscita dal nucleare e dipendenza dal carbone.

 

Per il momento, il paese che più di tutti, in Europa, è riuscito a ridurre notevolmente l’output elettrico della fonte fossile più inquinante è la Gran Bretagna, grazie soprattutto al prezzo minimo (floor-price) per ogni tonnellata di CO2 emessa, che ha contribuito a promuovere il gas e le rinnovabili.

 

L’Italia, nella nuova Strategia energetica nazionale, ha deciso di unirsi a quel gruppo di nazioni europee, tra cui la stessa Gran Bretagna, che ha pianificato di eliminare completamente il carbone al 2025, o addirittura qualche anno prima, come la Francia (2022).

 

Intanto in Australia, la dirigenza del porto di Newcastle, che è il principale bacino mondiale per l’esportazione di carbone destinato alla generazione termoelettrica (thermal coal), ha dichiarato che il porto dovrà variare urgentemente i suoi traffici, perché le prospettive di medio-lungo termine sul commercio internazionale di questo combustibile non sono buone.

 

E sempre in Australia, nei giorni scorsi, una delle quattro maggiori banche del paese, la National Australia Bank, ha annunciato lo stop a tutti i finanziamenti per nuovi progetti nel carbone, aggiungendosi così alle istituzioni pubbliche e private che in tutto il mondo stanno riducendo gli investimenti fossili, inclusa la Banca Mondiale.

 

Tornando all’Europa, un recente documento del think-tank finanziario indipendente Carbon Tracker sottolineava che il tipico impianto a carbone, nel vecchio continente, è una specie di “morto vivente” nutrito a soldi pubblici, incapace di generare profitti, stretto dalla concorrenza delle fonti rinnovabili, che in molte circostanze sono già in grado di battere il settore fossile quanto ai costi complessivi di generazione. 

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