Comuni Rinnovabili 2018: il rapporto Legambiente ritrae un’Italia sempre più rinnovabile
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Sono 3.060 i Comuni italiani autosufficienti per i fabbisogni elettrici e 37 i Comuni al 100% rinnovabili con un modello di autoproduzione che oggi è al centro delle Direttive Europee. Questi i dati principali dell’ultima edizione del dossier di Legambiente “Comuni Rinnovabili“.
In tutti e 7.978 municipi italiani oggetto delle indagini dell’associazione ambientalista – si legge nel comunicato di riferimento – sono stati installati uno o più impianti da fonti rinnovabili. “Un bel risultato, commenta Legambiente, visto che 10 anni fa erano solo 356”.
In tutto – spiega l’associazione – sono ben 7.862 i Comuni in cui sono presenti impianti fotovoltaici, 6.822 quelli del solare termico, 1.489 quelli del mini idroelettrico (in particolare al centro nord) e 1.025 quelli dell’eolico (soprattutto al centro sud), 4.130 quelli delle bioenergie e 595 quelli della geotermia.
Grazie a questo mix di impianti distribuiti su tutto il territorio, ben 3.060 Comuni sono diventati autosufficienti per i fabbisogni elettrici e 58 per quelli termici, mentre 37 municipi – come detto all’inizio – si confermano rinnovabili al 100% per tutti i fabbisogni delle famiglie.
In dieci anni la produzione da rinnovabili è cresciuta di oltre 50 TWh mettendo in crisi il modello fondato sulle fossili, con un contributo delle rinnovabili che è passato dal 15 al 34,4% rispetto ai consumi elettrici e dal 7 al 17,7% in quelli complessivi. Risultati importanti che ora devono essere da stimolo per obiettivi molto più ambiziosi al 2030.
Rinnovabili nelle regioni d’Italia
Secondo il rapporto Comuni Rinnovabili 2018, è la Lombardia la regione con il maggior numero di impianti a fonte rinnovabile in Italia, con 7.989 MW installati, grazie soprattutto all’eredità dell’idroelettrico del secolo scorso. La Puglia è invece la regione col maggior numero di installazioni delle “nuove” rinnovabili, ossia solare ed eolico (5.056 MW su 5.388 MW totali).
Il problema – scrive Legambiente – è che lo sviluppo delle rinnovabili è stato fortemente rallentato negli ultimi anni, perché le politiche hanno guardato in un’altra direzione e perché non sono stati risolti i problemi legati alle barriere, anche non tecnologiche, che trovano i progetti nei territori.
In molte regioni – prosegue l’associazione – è di fatto vietata la realizzazione di nuovi progetti rinnovabili, visto l’incrocio di burocrazia, limiti posti con il recepimento delle linee guida nazionali e veti dalle soprintendenze. In questi anni, infatti, non vi è stata alcuna semplificazioni importante per gli interventi di piccola taglia e mancano ancora riferimenti chiari di integrazione nei territori per gli impianti più grandi e complessi.
Negli ultimi cinque anni, infatti, la crescita delle installazioni è fortemente rallentata, la media per il solare è stata di 407 MW all’anno e di 301 MW per l’eolico, cifre del tutto inadeguate a raggiungere perfino i già limitati target fissati dalla SEN.
Il segnale positivo è che nel fotovoltaico gli impianti sono andati avanti malgrado lo stop agli incentivi, con 233mila impianti realizzati di piccola taglia negli ultimi tre anni. E oggi, grazie all’Europa, diventa possibile abbattere le barriere che in Italia impediscono di scambiare energia prodotta da fonti rinnovabili nei condomini, in un distretto produttivo o in un territorio agricolo.
La nuova direttiva sulle fonti rinnovabili – si aggiunge nella nota – oramai definitivamente approvata, stabilisce i diritti dei prosumer (i produttori-consumatori) e delle comunità energetiche proprio in una logica di favorire autoproduzione e distribuzione locale. E con la riduzione continua dei prezzi di solare, eolico e batterie, ciò porterà a un cambiamento di portata radicale.
Rilanciare investimenti nelle rinnovabili
Nel 2017 è calato anche il contributo della produzione da rinnovabili rispetto ai consumi e sono tornate ad aumentare le emissioni di CO2. Occorre quindi cambiare registro e i rilanciare gli investimenti per raggiungere non più solo gli obiettivi stabiliti a livello europeo, in coerenza con l’Accordo di Parigi sul Clima, ma livelli più ambiziosi e in grado di scongiurare le drammatiche conseguenze sociali e economiche di un aumento della temperatura oltre i 2 gradi.
Obiettivi tecnicamente raggiungibili, come dimostra la ricerca realizzata da Elemens per Legambiente, secondo la quale, diminuendo al 2030 le emissioni del 55%, si avrebbero benefici pari a 5,5 miliardi di euro all’anno (considerando il consumo evitato di combustibili e il minor gettito fiscale) con la creazione di 2,7 milioni di posti di lavoro. Tutto ciò grazie alla riduzione delle importazioni dall’estero di combustibili fossili e dei consumi energetici, con costi indiretti sulla salute.
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