Le Isole del Pacifico rafforzano gli NDC puntando sulle rinnovabili
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Se i grandi del pianeta la tirano per le lunghe, tocca ancora una volta ai più piccoli mostrare ambizione e coraggio. Come? Alzando gli obiettivi dei rispettivi contributi determinati nazionali alla lotta climatica, meglio noti come NDC. La stretta sulle politiche di transizione energetica arriva oggi dagli SIDS, ossia quesi paesi geograficamente isolati, piccole masse di terra e atolli sparsi su ampie zone dell’oceano Pacifico. In una riunione ospitata congiuntamente dall’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), dal Regional Pacific NDC Hub e dalla Presidenza britannica della COP26 sul Climate Change, i governi delle piccole isole del Pacifico si sono impegnati a rafforzare i propri contributi; e hanno ribadito ancora un volta la necessità di azioni che riorientino in modo significativo l’energia mondiale in un percorso di transizione ecologica.
La speranza di molti è che l’esempio degli stati insulari possa smuovere le nazioni più ricche e sviluppate, i cui impegni climatici oggi appaiono fortemente limitati. Secondo un recente rapporto del’UNFCCC, ad oggi solo 75 delle 165 Parti firmatarie hanno presentato piani d’azione nazionali per il clima nuovi o aggiornati. Non solo. Nonostante abbiano aumentato i propri livelli individuali di ambizione nel taglio delle emissioni, il loro impatto combinato indirizza il pianeta verso una riduzione di solo l’1% entro il 2030 dai livelli del 2010, rispetto al -45% richiesto dal mondo scientifico.
Con l’arrivo dell’inverno e l’accensione dei riscaldamenti, torna a crescere i livello di emissioni inquinanti. Per la precisione il 17% dei livelli di PM10 registrato in Italia proviene da impianti a legna e pellet, nella grande maggioranza dei casi apparecchi vecchi con più di 10 anni di vita alle spalle. Secondo i dati dell’AIEL (Associazione italiana energie agroforestali), infatti, l’86% dei riscaldamenti a legna e pellet impiega tecnologie di combustione ormai obsolete e superate. Parliamo di circa 6,3 milioni di impianti tra stufe e caminetti, installati a livello nazionale. Quello che a prima vista ad alcuni può sembrare un problema, per altri è invece un’opportunità per accelerare la transizione ecologica.
Il piano propone di incentivare la sostituzione dei generatori vecchi ed inquinanti con riscaldamenti a legna e pellet moderni ed efficienti, caratterizzati da emissioni di PM10 da 4 a 8 volte inferiori rispetto alle tecnologie più datate. Il percorso del turnover tecnologico, che l’Associazione ha stimato in circa 350 mila nuovi generatori l’anno per 10 anni, è la soluzione per contribuire alla riduzione dell’impatto apparecchi domestici sulla qualità dell’aria.
“È fondamentale inoltre – scrive l’AIEL – avviare un’azione incisiva di informazione e sensibilizzazione degli utenti finali, in particolare di chi utilizza legna da ardere. Una conduzione scorretta dell’apparecchio a legna può infatti causare incrementi fino anche a 10 volte delle emissioni di PM10 e di carbonio organico, responsabile a sua volta della formazione delle polveri sottili”.
Per raggiungere il meno 70% di emissioni in dieci anni è necessario “confermare e migliorare i sistemi incentivanti esistenti a sostegno del turnover tecnologico”, primo fra tutti il Conto Termico, prevedendone un potenziamento. Ma non in termini di budget – spiega AIEL- bensì di capacità di fruizione e di semplificazione del meccanismo di accesso. Un altro elemento è il rafforzamento dello schema di certificazione volontario dei generatori per il riscaldamento domestico alimentati a legna e pellet, ariaPulita® e l’utilizzo di combustibili legnosi certificati, come la certificazione del pellet ENplus® e la certificazione di qualità di legna da ardere e cippato Biomassplus®. Va ricordata anche l’importanza della qualificazione professionale degli installatori e dei manutentori di impianti a biomasse.
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