Start up green, la strada per uscire dalla crisi

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$Zucchero bianco, un \'killer\' invisibile$

Start up “green”: l’innovazione si colora di verde e attira investimenti. Perché non si tratta (solo) di salvare il mondo, ma di fare qualcosa di innovativo creando valore e occupazione.
Ricordiamo che con il termine “start up” si indicano quelle aziende che portano sul mercato qualcosa che non c’era, un’innovazione legata in particolar modo al settore web e tecnologico.

Ed è proprio il sostenibile, combinato alla tecnologia e al digitale, un filone a cui la Commissione Europea guarda con interesse già da tempo, e per cui ha messo a disposizione ben cento milioni per sovvenzionare oltre mille start up green, finalizzate allo sviluppo di app e servizi digitali (fondi stanziati nel quadro del partenariato pubblico-privato sull’internet del futuro da 500 milioni di euro lanciato nel 2011, per i settori trasporti, salute, produzione intelligente, energia e media).
Un chiaro segno della crescente importanza che il settore dell’economia verde avrà in futuro.

Secondo il network italiano dei business angel (IBAN), infatti, il “green” (inteso come la modalità dell’operare economico rispettosa delle risorse e quindi sostenibile) nel 2012 ha superato, per investimenti gli altri settori toccando il 22 per cento, mentre l’ICT si è fermato al 19.
In Italia, secondo lo studio della Uil di Roma e Lazio, le regioni con alti tassi di disoccupazione e inattività sono proprio quelle che non investono in economia verde.

All’opposto le regioni con un alto indice di green economy registrano un minor tasso di disoccupazione.
Secondo l’Istat il Trentino è la prima regione per indice “green economy” (calcolato in base a parametri quali: energia, agricoltura, turismo, rifiuti, mobilità) e per investimenti nel settore. Ed è anche la regione col minor tasso di disoccupazione (5,1 per cento) e maggiore occupazione (68,6 per cento), seguito dall’Emilia Romagna (occupazione al 67,6 per cento) e dalla Valle d’Aosta (66,4).
E poi ci sono le regioni che finora hanno investito meno nell’economia verde (Puglia, Sicilia, Campania, Calabria e Lazio) che sono anche quelle in cui il tasso di disoccupazione è più elevato.

A livello internazionale, mentre la California resta il posto migliore dove avviare una start up, nel vecchio continente sono Londra e Parigi le migliori città dove mettere in piedi una start up, per la presenza di finanziatori e di politiche fiscali agevolate, ma cominciano a farsi strada anche Berlino e Dublino.
In Germania dal 2008 c’è, per esempio, la possibilità di creare una società a responsabilità limitata con un capitale minimo di un euro, senza complicati percorsi burocratici e ostacoli legislativi.
Il vero punto di forza della Germania, però, non è solo una tassazione inferiore 30 per cento (che in alcuni lander scende addirittura sotto il 23), ma anche i finanziamenti pubblici per le start up, con una particolare attenzione verso quelle sostenibili.

Il Governo Federale punta, infatti, a ridurre le emissioni di gas serra entro il 2050, portandolo dall’80 al 95 per cento in meno rispetto ai livelli del 1990. E sono le Università a giocare un ruolo fondamentale in questo senso, attraverso iniziative che puntano alla creazione di start up che portino la Germania verso un’economia “low carbon”.
Insomma all’Italia forse converrebbe non restare a guardare, perché se è vero che nella crisi nascono le opportunità, la vera crisi è l’apatia nel cercare le vie d’uscita.
Perché quando il lavoro non c’è bisogna inventarselo, facendo della crisi un punto di partenza e l’occasione per innovare.